Verso un nuovo benessere
Il 21 febbraio 2025 è stato presentato a Roma l’8° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, dal titolo “Lavoro, aziende e benessere delle lavoratrici e dei lavoratori: un’epoca nuova”. Perché “un’epoca nuova”? Il Rapporto analizza (ma chiunque di noi lo può sperimentare nella propria vita quotidiana) come negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, il mondo del lavoro stia evolvendo e anche le dinamiche tra lavoratori e organizzazioni siano in fase di ridefinizione.
Il rapporto si focalizza sui lavoratori dipendenti, ma il discorso vale anche per i liberi professionisti: in un periodo storico di incertezze e trasformazioni, il lavoro non viene più visto come un semplice mezzo di sussistenza e/o prestigio sociale, ma si integra con la vita “privata” di ciascun lavoratore con un unico obiettivo: la ricerca del benessere, concetto, a sua volta, in evoluzione rispetto anche solo a pochi anni fa
In che direzione sta dunque andando il benessere organizzativo? Proviamo a scoprirlo in questo articolo
INDICE
Un nuovo concetto di benessere
Vita privata e vita lavorativa
L’evoluzione del benessere organizzativo
1. UN NUOVO CONCETTO DI BENESSERE
Una delle novità che emerge dal Rapporto Censis-Eudaimon è il fatto che le persone, anche in ambiente lavorativo, si pensano e vivono sempre più come come totalità psico-fisica e hanno come priorità il miglioramento del proprio benessere. Cosa significa benessere? Per il 63,2% dei lavoratori dipendenti significa salute, per il 42,4% tranquillità, per il 34,4% equilibrio, e per il 29,9% tempo per prendersi cura di sé.
Cosa ci dicono questi numeri? Che se prima della pandemia il benessere veniva visto prettamente come una questione “fisica” (salute e sicurezza sul lavoro, microclima, ergonomia ecc…) e nel periodo immediatamente successivo si parlava soprattutto di salute mentale, oggi si va verso un concetto olistico di benessere che include sia l’aspetto irrinunciabile della salute fisica, sia l’aspetto mentale ed emozionale, in un equilibrio che non si ferma alle 8 ore lavorative, ma, come vedremo nel secondo paragrafo, è complementare ad un equilibrio da raggiungere anche nella cosiddetta vita privata.
Il benessere materiale mantiene una certa importanza, ma non è più centrale nella vita di un lavoratore e i numeri lo dimostrano: la ricchezza significa benessere solo per l’8,6% degli intervistati e l'agiatezza economica per il 7,5%: insomma per i lavoratori è prioritario il benessere psico-fisico, quello economico passa in secondo piano.
A questa evoluzione del concetto di benessere corrispondono nuove priorità: l’83,4% dei dipendenti ritiene una priorità che il lavoro contribuisca al proprio benessere olistico, quindi fisico, mentale, emozionale. E parliamo di una richiesta di benessere trasversale: sentirsi bene all’interno della propria realtà lavorativa è una priorità per il 76,8% dei dirigenti, l’86,1% degli impiegati e il 79,5% degli operai e dei lavoratori con mansioni esecutive.
Insomma, si tratti di un ruolo apicale o di manovalanza, sentirsi bene ha la precedenza sul guadagnare bene. Anche perché c’è una domanda costante ed urgente di benessere anche al di fuori dell’ambiente lavorativo con quest’ultimo, però, sempre più connesso a quella che possiamo definire “vita privata” del lavoratore.
2. VITA PRIVATA E VITA LAVORATIVA
Il Rapporto evidenzia in maniera netta come nella nostra società vita lavorativa e vita fuori dalla realtà lavorativa, non solo siano fortemente interconnesse, ma abbiano un rapporto quasi osmotico. Emerge infatti come i lavoratori si portino a in casa i problemi di lavoro e contemporaneamente al lavoro siano condizionati dalle difficoltà che stanno vivendo nel privato: il 25,7% dei lavoratori dipendenti dichiara di portarsi al lavoro i problemi di casa, privati, con effetti negativi sulla perfomance, mentre il 36,1% si porta i problemi lavorativi a casa con effetti negativi sulle relazioni familiari e amicali. E’ un problema che riguarda tutte le età: si portano a casa i problemi lavorativi il 41% dei lavoratori più giovani, il 34,9% dei giovani adulti e il 33,7% dei più anziani con almeno 55 anni, mentre al lavoro sono influenzati da problematiche private il 22,7% degli occupati giovani, il 29,2% dei giovani adulti e il 20,6% dei più anziani.
E se questi sono i numeri dei lavoratori dipendenti, sarebbe interessante capire quali sono le percentuali fra i liberi professionisti dove il confine tra vita professionale e vita privata è ancora più labile.
E’ quella che il Rapporto definisce “Sindrome da corridoio” ovvero la dissoluzione dei confini tra lavoro e vita privata favorita negli ultimi anni dall’uso delle tecnologie e da cambiamenti organizzativi come ad esempio il ricorso al lavoro da remoto, strumenti utilissimi ma che rischiano di renderci operativi h24.
C’è uno scambio fra lavoro e vita privata che ormai è diventato strutturale e le organizzazioni lavorative devono e dovranno tenerne conto, non solo per evitare che i lavoratori si portino a casa un malessere nato da problematiche lavorative, ma anche per prendersi carico di coloro che arrivano al lavoro con un bagaglio di difficoltà private
A quale modello di benessere organizzativo devono quindi guardare le organizzazioni lavorative?
3. L’EVOLUZIONE DEL BENESSERE ORGANIZZATIVO
Un altro dato significativo che emerge dal rapporto è la crisi di quello che viene definito “welfare tradizionale”: secondo il 32,9% dei lavoratori dipendenti, infatti, la rete di protezione dai rischi sociali è peggiorata e solo il 4,3% ritiene che il sistema di welfare pubblico garantirà la copertura dei bisogni essenziali. Questa sfiducia e incertezza, oltre ovviamente a generare ansia e preoccupazione, pone le organizzazioni lavorative di fronte ad una sfida: come possono integrare il welfare pubblico per diventare un punto di riferimento per i propri dipendenti e soprattutto perché dovrebbero farlo? Alla seconda domanda è abbastanza semplice rispondere: perché conviene. Oggi i lavoratori sono soggetto attivo nella relazione con la propria organizzazione lavorativa e la valutano anche in rapporto al contributo che dà o non dà al proprio benessere psico-fisico: se il contributo è positivo, motivazione e coinvolgimento porteranno alla fidelizzazione e ad un miglioramento delle performance, un contributo negativo avrà come risultato una fuga dei talenti migliori e un appiattimento di chi resta che probabilmente si limiterà a fare il minimo indispensabile.
Un pò più complesso è capire quale apporto può dare un’organizzazione lavorativa al benessere dei propri lavoratori, anche perché quest’ultima non è una onlus, ma ha come principale obiettivo quello del profitto. Una risposta arriva dal Rapporto, anzi direttamente dai lavoratori: la richiesta è quella che le organizzazioni lavorative si evolvano in una sorta di hub del benessere introducendo o implementando iniziative di welfare a 360°: l’80,3% dei lavoratori desidererebbe iniziative per la salute fisica, dalla palestra a corsi fitness di vario tipo; il 74,8% servizi per l’accesso alla cultura, che sia cinema, teatro, musei, acquisto libri; il 68,5% servizi per il supporto per la salute mentale. Secondo i lavoratori, quindi, le organizzazioni non dovrebbero limitarsi a offrire servizi interni, ma dovrebbero affiancare i lavoratori nell'individuare e accedere a risposte ai propri bisogni, all'interno dell'intero sistema di welfare, inclusi i servizi pubblici, anche perché il 41,8% dei dipendenti dichiara di non sapere a chi rivolgersi in caso di problematiche di salute o di un disagio di altro tipo, perciò gradirebbe l’introduzione della figura di una sorta di “consulente del benessere” che faccia da punto di riferimento.
Cosa fare nel concreto? Alcune risposte arrivano ancora dai lavoratori stessi: il 63,5% dei lavoratori vorrebbe supporto nell’investire nel proprio benessere mentale con la possibilità di ricorrere ad uno psicologo o, anche, di svolgere attività di meditazione o yoga, il 38,2% è profondamente convinto che fare meditazione lo aiuterebbe a gestire meglio situazioni di stress e quindi a essere più produttivo e, infine, l’89,4% ritiene che per gestire gli effetti di difficoltà e sofferenze si deve poter dedicare più tempo a sé stessi e alle cose che piacciono, coinvolgono, interessano.
Insomma, i lavoratori sembrano avere le idee chiare, le organizzazioni lavorative forse un pò meno
Come possiamo sostenere la tua organizzazione nel diventare un punto di riferimento per i tuoi dipendenti e collaboratori?